Il settore dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza nel 2019 ha contribuito a generare 15 miliardi di euro di valore aggiunto nell’economia del nostro Paese, di cui oltre 5 miliardi di contributo diretto delle attività delle imprese e 10 miliardi il contributo indiretto e indotto. Questa l’analisi dell’ultimo studio elaborato dal Centro Studi della Federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, Difesa e Sicurezza – AIAD, in collaborazione con Prometeia, per illustrare le capacità della filiera e analizzare il contributo che essa offre all’economia nazionale, sia in termini di Prodotto Interno Lordo sia di innovazione tecnologica.
Industria Difesa UE: il 70% della produzione è in Italia, Francia, Germania Spagna e UK
Nel 2019 l’industria dell’Aerospazio, Difesa & Sicurezza UE ha fatturato circa 260 miliardi di euro, occupando quasi 900.000 addetti, e il nostro Paese insieme con Francia, Germania, Regno Unito e Spagna hanno rappresentato oltre il 70% della produzione complessiva comunitaria.
Gli analisti evidenziano come l’elevata tecnologia, associata alle sofisticate capacità sistemistiche ed elettroniche, richieda un ingente impegno di risorse per investimenti materiali ed immateriali, con un grado elevato di rischio. La struttura dell’offerta, quindi, risulta composta da un numero ristretto di grandi imprese in un contesto di competizione crescente. Stando ai dati raccolti da Prometeia, ogni euro di valore aggiunto creato dalle imprese dell’A&D, determina in media 2 euro addizionali nell’economia italiana per un moltiplicatore totale pari a 3, per effetto della capacità di propagare valore direttamente e indirettamente nel sistema di aziende connesse alla filiera.
Eppure la capacità competitiva dell’industria UE, cui si riconnette anche il proprio posizionamento nell’export, risulta condizionata e al contempo sostenuta dal fattore dimensionale, sempre più rilevante per operare in questo comparto come testimoniano le numerose operazioni di Merger & Acquisition, e dalla propensione ad creare forme di collaborazione tra le imprese stesse.
L’esigenza di difesa dei singoli Stati è il motore della domanda
Le risorse per la difesa degli Stati rappresentano il canale di attivazione di domanda. I livelli di spesa europei si attestano storicamente su grandezze considerevolmente più basse rispetto a quelle statunitensi, tanto che solo 6 Paesi UE nel 2019, e 10 nel 2020, hanno superato il target raccomandato dalla Nato del 2%.
Il mercato domestico è da sempre un fattore cruciale per il settore e le esigenze di sicurezza e di presidio delle competenze nazionali favoriscono il rapporto privilegiato con l’industria domestica e con le industrie estere, ivi localizzate. Basti pensare che, secondo una recente analisi condotta su un campione di bandi europei pubblicati sul “Tenders Electronic Daily UE”, la quasi totalità delle gare censite, per un valore medio 2016-2019 pari al 20% degli investimenti per la difesa europei, è stata attribuita a società con sede nel Paese di emissione del tender.
La specificità del ruolo che il settore industriale riveste per gli Stati è riconoscibile anche dai dispositivi di controllo e regolamentazione adottati dai governi: sono diffusi, seppur con criteri disomogenei, screening, restrizioni proprietarie, golden share, diritti speciali o golden power, meccanismi di controllo sugli investimenti diretti esteri e regolamentazioni nazionali sull’export, che ne definiscono i confini di operatività.
Tale specificità ha, secondo gli analisti, un nesso con il concetto posto al centro del dibattito di “politica industriale nel post- pandemia” e di autonomia strategica della quale, non esiste una definizione univoca ma piuttosto fattori di discernimento incentrati su criteri economici, di protezione, di sicurezza e valoriali.
Su queste basi, l’industria della Difesa deve essere considerata strategica perché rappresenta un pilastro con il quale lo Stato, da un lato persegue la propria missione di difesa e sicurezza del territorio, dei cittadini e delle infrastrutture critiche in modo sovrano, e dall’altro sostiene occupazione qualificata e innovazione ad alta tecnologia anche a carattere duale a beneficio della competitività del Paese.
Oltre 16 miliardi di euro fatturati dalle imprese italiane
Le imprese del settore AD&S “Made in Italy” hanno sviluppato circa 16 miliardi di euro di fatturato nel solo 2019 e impiegato oltre 50.000 addetti. Il settore, ci dicono gli analisti, mostra una presenza diffusa su tutto il territorio nazionale, con una prevalenza del Nord Ovest dove viene impiegato il 44% degli occupati rispetto al Mezzogiorno, con circa 14.000 addetti.
A partire dal 2016, dopo una fase di razionalizzazione degli investimenti e dell’occupazione, le imprese del settore sono state caratterizzate da un ritorno sostenuto alla crescita dei ricavi, +15% cumulata 2016-2019 contro il 7% della settore manifatturiero, accompagnata anche da un incremento dell’occupazione diretta e da una ripresa degli investimenti, mantenendo una elevata produttività del lavoro. Complessivamente, nel 2019, il settore ha contribuito a generare 15 miliardi di euro di valore aggiunto nella nostra economia, pari allo 0.9% del Prodotto interno lordo nazionale.
Tale contributo si compone di una parte direttamente sostenuta dalle attività delle imprese, circa 5.1 miliardi di euro, e di un’altra indiretta e indotta che si attiva tramite gli acquisti presso la propria filiera e i consumi dei relativi dipendenti.
Il settore quindi rappresenta, in termini di valore aggiunto, il 23% di tutta l’industria ad alta intensità tecnologica, con punte anche più elevate in alcune regioni del Mezzogiorno dove supporta infatti oltre il 40% di tutta l’industria high-tech dell’area e oltre il 60% di quella campana e pugliese.
L’A&D è anche un volano tecnologico
Le imprese italiane del settore sono tra i maggiori investitori in innovazione e attrattori degli investimenti pubblici, a beneficio del sistema economico nazionale.
In particolare le caratteristiche strutturali del settore, ci dicono gli esperti, spingono gli investimenti in Innovazione, con effetti positivi su produttività e resilienza; stimolano la collaborazione inter-settoriale tra il sistema industriale e gli enti di ricerca; promuovono l’adozione delle applicazioni derivanti dalle tecnologie digitali, l’opportunità di combinare digital engineering e open architecture associati a metodologie di agile development per accelerare il ciclo di innovazione e sviluppo; contribuiscono ad accrescere il livello di competitività del sistema produttivo nazionale, grazie alla caratteristica del “dual use” con ricadute positive nei settori civili.
L’Aerospazio e Difesa è, nel comparto dei manifatturieri, quello con la più elevata intensità di ricerca e sviluppo: investe 10 euro in ricerca per ogni 100 di fatturato, contro una media di 1 euro per il settore manifatturiero.
Gli oltre 1.5 miliardi di euro investiti in ricerca e sviluppo rappresentano quindi quasi il 10% di tutta la spesa effettuata dal nostro Paese nel 2019.
Gli occupati in attività di ricerca e sviluppo sono circa 7000, il 14% del totale con un’incidenza fra le più alte nell’ambito dei settori italiani.
La capacità del sistema industriale di sviluppare nuove tecnologie e di modulare su di esse la propria offerta è, secondo gli analisti, una caratteristica da preservare e diventa fondamentale quando il settore in questione è cruciale per la sicurezza e la tutela del territorio nazionale.
A tal proposito la filiera AD&S nostrana si posiziona tra i top player mondiali per i livelli di innovazione, misurata attraverso l’attività brevettuale nei domini tecnologici di diretta competenza delle imprese del settore.
Una funzione essenziale svolta dal comparto è inoltre quella di progettare sistemi avanzati che siano in grado di accogliere tecnologie innovative, creando valore aggiunto dalla loro combinazione.
Nonostante il posizionamento dell’Italia nelle tecnologie abilitanti riveli un generale gap del sistema paese a confronto con i leader di mercato, l’industria della Difesa nazionale riesce a rimanere all’interno dei più significativi per quanto riguarda l’integrazione delle tecnologie nei prodotti del settore.
Post-pandemia, sostenere il ruolo centrale del settore
Se da un lato la pandemia non ha risparmiato l’industria della Difesa e nel 2020 quasi tutti i grandi gruppi europei hanno registrato una flessione tanto nel fatturato quanto negli ordini, nel complesso però il comparto ha risentito meno di altri settori i contraccolpi della crisi. Questo risultato si deve, in primo luogo, al segmento della difesa che ha mostrato minore vulnerabilità all’impatto della crisi, ma anche capacità di reazione tempestiva ed efficace, delle imprese nell’affrontare l’emergenza, in particolare nell’arginare le sue ricadute sulla filiera.
Guardando al prossimo futuro è necessario che Governo, Istituzioni e banche lavorino di concerto per rivendicare il ruolo centrale del settore, sostenendo le grandi imprese nelle iniziative volte rafforzare la qualità e la solidità della filiera, promuovendo un ruolo più proattivo della rete delle PMI e stimolandone la propensione al rischio e l’adeguamento agli standard internazionali.
F.C.